Roma - Fatima - Roma
1-6 aprile 2005

Di questi giorni indimenticabili proverò ad essere una "cronista gioiosa", come ai tempi in cui mio figlio insisteva perché accompagnassi con parole mie il diario della sua nuova vita. C'erano allora la timidezza e il timore di non saper corrispondere alle sue aspettative, c'era anche il pudore di aprire sulla nostra intimità una finestra stretta e fin troppo velata di emozioni terrene. Ma il mio desiderio di esaudire il suo era più forte, e ogni reticenza svanì nel mio grazie sincero per la benevolenza del cielo.

Con gli stessi sentimenti mi accingo ora a raccontare dove e come ho vissuto l'annuncio della morte del nostro amatissimo Papa Giovanni Paolo II, cercando di descrivere cosa ho potuto vedere, con gli occhi e con la mente, in quei giorni.
Scrivo questa pagina con gratitudine infinita alla Madre di Dio per il grande Papa che Le si è consacrato, Totus Tuus in eterno. A Lei, che mi legge nel cuore, dedico queste mie confidenze, sperando che non sembrino a nessuno la banale ambizione di volermi accostare ai grandi commentatori, agli attenti cronisti di questo evento, religioso e umano, che ha coinvolto il mondo.

Tutto quello che sto per raccontare è una pagina di vita vissuta,  che ripete con Gesù: Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto è stato dato a me dal Padre mio: e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarLo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati e stanchi, ed io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, che sono dolce e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre; perché il mio giogo è soave e il mio peso leggero. (Matteo, 11, 25-30)

Il due aprile scorso, era sabato, mi trovavo a Fatima. Non sono una frequentatrice di pellegrinaggi e non ne ho mai fatti, ma durante la quaresima avevo cominciato a sentire il desiderio, quasi il richiamo a recarmi in quel luogo suggestivo dell'amore mariano. La prenotazione del viaggio era disponibile solo in quella data, così il primo venerdì dopo la santa Pasqua ero partita con la mia amica Angela.

Ero già stata a Lisbona tanti anni fa, insieme al mio giovane marito che presentava un suo lavoro a un congresso internazionale di medicina. Allora, mamma da appena sedici mesi, per la prima volta mi separavo da mio figlio, ma ero tranquilla perché lo lasciavo affidato a mia madre e a mia sorella, che aveva un bambino più grande di appena otto mesi, ed ero sicura che le coccole della nonna e la compagnia del cuginetto sarebbero bastate a fargli dimenticare la nostra lontananza. Invece, a quel primo distacco, Emilio aveva provato la "grandissima emozione" che ci confida trentaquattro anni più tardi dal cielo, nella lettera in cui affronta il tema dell’apparente distacco di Dio durante il nostro viaggio terreno (Cielo che poesia, pag. 100).
All'epoca non avevo avvertito il profondo turbamento del mio bambino. Come spesso capita, pur restando tutta tesa verso di lui, ero concentrata su me stessa e sull'organizzazione della partenza. Durante i preparativi non avevo avuto neppure il tempo di documentarmi sulle località da visitare in Portogallo, e soltanto arrivando a Lisbona mi ero resa conto che Fatima era nelle vicinanze. Ma rinunciai ad andarci, persino senza rammarico, perché in quei giorni ricorreva il cinquantesimo anniversario del "miracolo del sole" (ricostruisco ora che doveva essere il 13 ottobre del 1967) e il pullman, per la folla, mi avrebbe lasciata a parecchi chilometri dal santuario.

Quest’anno non mi sono fatta scoraggiare da nulla, mi sono svegliata alle quattro del mattino senza fatica e sono partita. Una carezza a Ginger e Fred, un bacio a papi, che mi aveva accompagnato all'aeroporto, ed eccomi al check-in, dove scopro che non sarò seduta accanto alla mia amica. Mi spiace soprattutto perché si è appena lussata una spalla, e potrebbe aver bisogno di una mano con il bagaglio. Questo è veramente ridicolo, infatti, nonostante il malanno, Angela è molto più energica di me, che riesco appena a bastare a me stessa. Comunque, una volte imbarcate, una specie di gigante brasiliano di nome Andrea si prende cura di noi, ci aiuta a sistemare i bagagli e cambia posto per farci stare vicine.
Tre ore più tardi atterro a Lisbona, sorridendo al ricordo di quello che fu tanti anni fa il mio primo volo. E mi deluse molto, perché ero curiosissima di vedere le nuvole dall’alto e invece il cielo si mantenne perfettamente sereno.
Anche quest'anno è bel tempo. Non più da giovane mamma con il pensiero fisso al suo bambino lontano, ma come mamma vecchietta in serena attesa di riabbracciarlo, mi trovo ancora una volta sul prato davanti alla torre di Belem. Non persa tra i ricordi, ma concentrata sull'inizio del mio pellegrinaggio, comincio a intravedere perché mi è preso il gran desiderio di inginocchiarmi a ringraziare la Madre della Redenzione. Ma è un pensiero confuso.

Nel tardo pomeriggio sono a Fatima, immersa in un'atmosfera dolce, fatta di semplicità e di cose piccole, sorprendenti per le proporzioni minime dell'infinito che abbraccia teneramente l'umanità, commoventi nelle dimensioni minuscole della cappellina e della statua di Maria incoronata.
Appena arrivati a destinazione, Padre Alberto, il sacerdote che ci accompagna, celebra per noi la santa Messa in una cappella del colonnato. Sull'altare c’è un grande dipinto che rappresenta il corteo guidato dalla Madonna al cielo: due file ordinate di figure con il capo circondato dall'aureola della santità, molti con l'abito dei consacrati e la chierica sul capo, e altri, ricoperti dal mantello del viandante, con la capigliatura naturale e lo sguardo sereno. Mi sento vicina a loro quando prego per il Santo Padre malato. La mattina seguente, sabato, durante tutta la Via Crucis sull'itinerario dei pastorelli, attraverso i luoghi delle apparizioni dell'Angelo e della Madonna, e nel pomeriggio, dopo la confessione e la visita alla basilica, è ancora per lui la nostra preghiera, accorata, angosciata e impaurita dall'imminente distacco che ognuno rifiuta, mentre la fede lotta contro il lugubre potere della morte. Quella stessa sera, quando sta per iniziare il santo rosario e la fiaccolata sulla piazza del santuario, la televisione annuncia la temuta notizia.

Un attimo dopo, insieme a tanti altri, ci riuniamo davanti alla piccola statua di Maria, dove Giovanni Paolo II, Totus Tuus, si era inginocchiato a ringraziare la Madonna per la salvezza della vita. E’ impossibile in quel luogo sentire dolore, provare lo smarrimento che incombe sulla morte. Le mie Ave Maria, di quel rosario corale in molte lingue, sono tutte ispirate dal sentimento di gratitudine per il trionfo della vita che avverto prorompente dentro di me, con la commozione di sentirmi quasi partecipe della gioia della Madre che riabbraccia il figlio amato. Al termine della preghiera mi attardo a cercare un momento di intimità con la Madre nostra dolcissima.

Pronunciando le mie personali preghiere, rimango lì fin quando mi accorgo che la piazza si è svuotata, con me è rimasto soltanto un tenero cane zoppo che ho già incontrato qui alla cappellina, sentinella fedele ed instancabile della "Madonnina" di Fatima. Un cane zoppo, come quello di una buffa ninna nanna che avevo inventato per Emilio piccolo, un bel cane dal pelo dorato come Greta, Ginger e Fred, un cane buono dagli occhi limpidi e sereni. Prova che l'amore fedele è alla portata di tutte le creature viventi, e chi lo sa esprimere con schiettezza e con semplicità ha bisogno di poco per vivere felice"
(cfr: www.diariodiunangelo.it -12 marzo 2005 )

Anche sul sagrato del santuario, accanto alla scritta "Gesù è resuscitato" è comparsa l'immagine del pontefice. Tutt’intorno la commozione serena dei fedeli tiene lontano le consuete espressioni di cordoglio, la piazza è affollata da un tributo d'amore illuminato da certezze, più che da speranze. Tornando in albergo stento a tenere a freno tanti perché incalzanti: perché sono qui, perché proprio oggi?

 

 

 

 

Sono nata all'ombra del cupolone e abito a Roma, perché da Fatima, e non a San Pietro, ho ringraziato il Signore per la vita eterna del nostro Papa? Mentre si ingarbugliano i pensieri, gli occhiali della fede mi aiutano a vedere con chiarezza che queste domande, senza senso per la mente, troveranno esauriente risposta nel cuore, una risposta a sorpresa che arriverà nel modo e nel momento meno prevedibile. Il giorno seguente rientro a Roma, dopo aver assistito a Fatima alla Messa solenne della domenica in Albis, festa della Divina Misericordia.


Il mio ritorno non è venato di rimpianto, né provo la tristezza del saluto che solitamente accompagna le partenze.
Porto con me una nuova luce nel cuore, compagnia dolcemente ingombrante come la statua della Madonna con i pastorelli, che darò alla cara suor Geraldina per farmi perdonare l'assenza alla festa del suo novantesimo compleanno.
Proprio non ce la faccio a trasportarla, insieme alla sacca appesantita dai souvenir, e approfitto vergognosamente dell'aiuto di Angela con la spalla lussata. Ma all’arrivo c’è papi, che è venuto a prendermi con Ginger e Fred.
Sono contenta di questo breve quanto intenso viaggio di fede, già assaporo dolci momenti di raccoglimento da dedicare alla preghiera e alla riflessione sui sentimenti provati in questi giorni.
Ma ci sono in serbo per me ben altri programmi.

Siamo invitati in televisione, a una trasmissione di RAI3: Cominciamo bene. La puntata, dedicata allo spirito ecumenico del pontificato di Giovanni Paolo II, ha come tema la domanda: La fede aiuta a vivere? Nel dibattito saranno coinvolti alcuni esponenti delle grandi religioni monoteiste, un sacerdote docente di Cristologia, una teologa e un’attrice, che ha recitato le poesie del Santo Padre alla sua presenza.
In un simile contesto, come sarà interpretata la nostra partecipazione? Non sarebbe meglio declinare l’invito? Papi è già stato sollevato dall’imbarazzo a causa di precedenti impegni professionali, dunque la decisione riguarda me soltanto. Resa ancora più incerta dai dubbi e dall’assenza di mio marito, sono pronta a rifiutare anch'io, ma poi, il lunedì mattina, una telefonata molto cortese e rispettosa della mia sensibilità mi fa capire che non devo aver paura di apparire fuori luogo. Paura no, non è nel mio carattere.

Perciò mi colpì tanto il “nuovo” Papa che ci raccomandò: “Non abbiate paura”. Di quei tempi ho una bella fotografia in cui il giovane Giovanni Paolo II mi fa una carezza, e un'altra in cui mi prende la mano. Fu durante un'udienza alla quale partecipai come esponente dell'AGESC, l’Associazione Genitori delle Scuole Cattoliche di cui ero stata con mio marito uno dei fondatori.

 

Quel mio primo incontro con Papa Woitila riguardava la scuola di mio figlio, anche oggi mi troverò idealmente vicina a lui parlando di Emilio.

Ho deciso di partecipare alla trasmissione, ma sono intimidita e agitata. Vorrei preparare con calma che cosa dire e rileggere qualche “letterina” per trovare ispirazione, invece devo sbrigare tante altre cose e il telefono suona continuamente, accumulando i messaggi di chi trova la linea occupata. Malconcia come sono per la stanchezza del viaggio, comincio a rendermi conto che per domani non riuscirò neppure a rendermi presentabile. Ma non sono scoraggiata, vicino alla porta di casa c’è sempre il quadro che mi consegnò Frate Paolo al cimitero, la Madonna della Misericordia. Affidandomi a Lei, mi fermo a dire una breve preghiera.
Subito dopo torno al telefono e ascolto la segreteria, giusto in tempo per sapere che mi stanno consegnando l’abito che ho ordinato qualche settimana fa. Guarda caso! Certo, potrebbe essere una coincidenza, ma di sicuro è la seconda volta che si verifica, tale e quale. Anche tre anni fa, per il nostro primo intervento a Porta a porta, mi arrivò all’ultimo momento il vestito nuovo. Allora, proprio come adesso, mi ero decisa ad ordinarne uno dopo diversi anni e mi era stato consegnato giusto in tempo per andare a parlare di Emilio in televisione. Spero si sia capito quanto è inconsueta una cosa del genere per me, che al “che mi metto” non ho pensato mai e figuriamoci adesso!
Anche questo martedì mattina, il fattorino arriva appena in tempo. Sono le nove, mi cambio e vado via di corsa. In strada già mi aspetta l'autista della RAI che è venuto a prendermi. Lungo la strada mi chiede: "Le dispiace se alzo il volume della radio? Questa canzone mi piace tanto, vorrei che l'ascoltasse anche lei". Così arrivo in studio accompagnata dalle note di “Angelo” che ha vinto il festival di San Remo. Sono piccole cose, lo so, ma Emilio è più contento se mamma banana sorride.
A mezzogiorno torno a casa senza sapere come è andata, però mi sento serena, orgogliosa di aver sorriso e di aver portato le parole di Emilio a qualche altra mamma che sorriderà a suo figlio.

Finalmente posso avere un po' di calma. I miei pensieri sono rivolti al cielo, al Santo Padre, a mio figlio, al mistero così poco misterioso della vita eterna. Accendo la televisione, che amplifica, nella moltitudine dei fedeli accorsi a San Pietro, la serena certezza della fede condivisa e la consapevolezza del tenero amore di Dio per tutti noi. Tutto questo è scaraventato sul mondo in immagini dal vivo, vivaci, vivificanti, straordinariamente umili e invadenti: come la verità. C'è tutta la prepotenza del vero in questo omaggio funebre che celebra la sconfitta della morte, con Cristo e in Cristo su questa terra come in cielo.
Tutti in fila, e io? Vengono da tutto il mondo, e io che abito a due passi me ne resto a casa? Certo, devo fare i conti con le mie forze, so che non ce farò a resistere per ore ed ore. Potrei provare a disturbare qualcuno per ottenere un po’ di sconto sull’attesa, ma non è giusto cercare una scorciatoia. Così quella sera stessa papi ed io ci prendiamo per mano e andiamo a metterci in fila a Borgo Pio. Sono circa le dieci. Alle due e mezzo del mattino abbiamo percorso pochi metri, San Pietro è ancora lontanissima, via della Conciliazione non si intravede neppure. Torniamo a casa faticosamente con le gambe a pezzi e la schiena dolorante, ma consolati di aver fatto parte di quel corteo d’amore, quieto, composto, instancabile. Non mi era mai successo, ma questa sera, mentre ero in fila, una ragazza di Belluno mi ha riconosciuta: “Lei è la mamma di Emilio! Questa mattina l’ho vista in televisione, ho subito telefonato a mia cognata che ha tanto bisogno di aiuto”.

Mercoledì mi sveglio indolenzita e con un gran male alla testa, ma subito ricomincio a seguire le trasmissioni dal Vaticano. Il ricordo della notte precedente mi ha lasciato la strana sensazione di aver trovato accoglienza vicino al nostro Papa, pur avendogli potuto offrire solo da lontano il mio sentimento di devozione e d’affetto. Di sicuro non mi era possibile fare di più, ma nulla è impossibile all'amore.

Da parecchi giorni ho ignorato le necessità casalinghe e sono richiamata al dovere dal frigorifero vuoto, vado a fare la spesa all’ora di pranzo e torno in fretta a casa. Mi aspetta il messaggio di una giornalista rumena che mi prega di richiamare. Julia Virsta mi aveva contattato circa due anni prima per dirmi che aveva letto i libri di Emilio e ne avrebbe scritto per il suo giornale in Romania. Non ne avevo saputo più nulla, infatti l'articolo è stato pubblicato solo oggi e Julia ha telefonato per avvertirmi che posso leggerlo su internet.
http://www.ziarulcn.com/actualitate/5aprile2005 .
Nella sorpresa mi preoccupo soltanto di chiederle la traduzione in italiano, il mio pensiero è ancora tutto concentrato sull’avvenimento che si celebra a San Pietro. “Purtroppo ne sono restata lontana -le dico- la mia buona volontà non è servita a raggiungere l’ingresso”. Ma Julia ha una soluzione: "Venga alle quattro a via Ottaviano, all'uscita della metropolitana. Poco fa ho telefonato a suo marito, ma non può allontanarsi dalla clinica così all’improvviso. Al suo posto, può portare un'amica".
Come è difficile fidarsi della provvidenza! Telefono a Silvia, compagna "storica" di imprese avventurose, ma la preavviso che si tratta di un appuntamento a rischio, perché neppure io conosco la persona che dovremmo incontrare. Come fare ad individuarla in mezzo alla folla? Julia è sicura di sé: "Non si preoccupi, la riconosco io". Dio solo sa come farà, senza avermi mai visto! Però Silvia e io andiamo puntualmente.
Appena arrivata sento suonare il telefonino, che fortunatamente ho dimenticato di spegnere: "Sono io, ho chiamato per vedere chi rispondeva. Eccomi, sono di fronte a lei, mi vede? La ragazza bionda con il foulard giallo". Jiulia mi viene incontro, mi abbraccia: "Sento un calo di energie, ho bisogno di zucchero, andiamo a prendere qualcosa". Al bar ci servono subito con gentilezza e premura, in mezzo a una calca impressionante tutti sono calmi e sorridenti, nessuno spinge o alza la voce e, incredibilmente, nessuno sembra aver fretta.

Adesso siamo pronte per l'impossibile avanzata. Julia mi prende per il polso, gentile e risoluta mi guida verso Porta angelica. Intorno a noi c'è il muro di folla che ho visto in televisione e, la sera prima, di persona. Sembra invalicabile, ma Julia punta dritta alla mèta, sa come fare, dove passare. Non scavalchiamo nessuno, semplicemente davanti a noi si apre quell'oceano d'umanità. Dentro di me un pensiero, chiaro e netto. A Porta angelica ci aspetta l'amica di Julia che ci porterà a San Pietro, ci sentiamo forti del potere irresistibile dei piccoli. Il mio pensiero chiaro e netto si sta illuminando ancora meglio. Mentre velocemente ci dirigiamo alla basilica, vengo a sapere che la nostra guida lavora nello stesso palazzo della Logart Press, l'editore dei libri di Emilio. In pochi minuti arriviamo in cima al colonnato di San Pietro, qui dobbiamo aspettare un attimo, giusto il tempo di dare uno sguardo alla piazza.

Via della Conciliazione ondeggia, non un fiume in piena ma un fiume dolcemente percorso da acque limpide e tranquille, in prossimità della foce un lieve ribollire e il sussulto della salita verso il sagrato. La corrente pullula di persone, ognuna ben definita nei connotati e nell'andatura, che si fa via via spedita e prende un ritmo di marcia a passo serrato, incalzante e fiero.

Allora il mio pensiero chiaro, netto e luminoso, diventa pianto a singhiozzi e lacrime che non ho mai versato.
"Eccolo mamma, volevo fartelo vedere con i tuoi occhi. Ecco l'esercito di Maria. Quante volte l'ho scritto e tu non sapevi figurartelo. Questo è l'esercito di Maria, ci sono anch'io, ci sei anche tu. Guarda, è l'esercito invincibile dell'amore che trionfa". Non ascolto con le orecchie queste parole, e il cuore è così gonfio di emozioni che non ha più vista né udito. Dunque, come posso avvertirle, come può essere che mi raggiungano? Emilio, con un bel sorriso provocatorio, mi sta dicendo: "Mammabanana, non ce l’avresti mai fatta ad arrivare quassù e ti abbiamo dato una mano. Non mi chiedere come, tanto hai già capito perché”.

Al varco di San Pietro, il portale spalancato sembra una porta troppo stretta per lasciarci passare. In tanti, affaticati dal percorso lungo e lento sulle vie anguste del territorio, arrivano in silenzio trattenendo il respiro, ma senza esitazione. Come loro, anche noi varchiamo la soglia della speranza esaudita. Ci accoglie lo splendore della basilica. La navata centrale è percorsa dai fedeli che avanzano attoniti, noi passiamo dal lato sinistro e raggiungiamo l’altare maggiore. Non so descrivere cosa provo, guardandomi intorno non soffermo lo sguardo sulla figura che più che mai suscita amore vivo e gioia della vita trionfante. Risuona un canto e inizia la recita del rosario, le Ave Maria vengono dolcemente in aiuto di sentimenti confusi che non sanno diventare preghiera. Ma anche questa emozione finisce, in un tempo che sembra brevissimo.

Il corteo dei fedeli procede compatto, sembrerebbe immobile se non fosse attraversato dai flash in sequenza d’avanzamento. Julia è veramente dispiaciuta che nessuno di noi abbia portato una macchina fotografica. Quando le dico che non è stata una dimenticanza e che volutamente l’abbiamo lasciata a casa, mi indica la corrente d’amore che brilla a intermittenza nel corteo. Poi adocchia un giovane sacerdote con la sua digital camera, punta decisa su di lui, gli chiede di riprenderci e di inviarle la foto per e-mail.

Venerdì 8 aprile Roma assiste ai funerali del Papa, le telecamere riprendono il rito senza inquadrare mai la sua finestra chiusa. Sugli schermi compaiono le immagini del celebrante e delle personalità intervenute. La folla applaude il Santo Padre affacciato dal paradiso, ancora più incredula della sua morte quando il vento sfoglia le pagine del Vangelo posato sulla bara: "Il Signore Iddio formò l'uomo dalla polvere della terra e alitò nelle sue narici un soffio vitale, e l'uomo divenne un essere vivente". (Genesi: 2,7)

L’11 aprile ho ricevuto la nostra fotografia scattata a San Pietro. L’ho aperta, ma lo sfondo era troppo scuro e si vedeva appena. Allora ho isolato le persone in primo piano e ho schiarito lo sfondo, poi ho stampato l’immagine e l’ho mostrata a papi. Ero meravigliata perché ora vedo chiaramente in tutta la basilica tante sfere trasparenti di varia grandezza .  Lo scriba ha girato la pagina e sul retro è arrivata questa letterina:

Caro papi, hai visto quanti siamo? Basta schiarire il buio dell'orizzonte, basta smorzare contrasti e chiaroscuri ed appariamo noi, quelli dell'altro mondo, perfettamente integrati nel vostro mondo, assolutamente partecipi delle sue luci e dei suoi colori, ostentatamente sintonizzati con il suo tempo e il suo spazio. 

Senza trucco e senza inganno, ma per volere di Maria Misericordiosa, che è qui con noi ad accogliere lo spirito puro di questo figlio Tutto Suo, e per contare la forza, la devozione ed il fervore di questa preghiera e di questo amore che si snoda sotto di noi. 

E con noi dà vita al Suo esercito invincibile con il quale sconfiggerà per sempre il serpentedrago.
Insieme con voi e per divina volontà ci sono anch'io. Emilio vostro
".

A questo punto, devo segnalare questa fotografia, nella quale mi sono imbattuta per caso su internet. . La riproduco con il suo titolo e la didascalia:

ORBS

C'erano anche loro a San Pietro.

Foto della fotografa professionista F, Da notare la tridimensionalità e l'irridescenza tipica dei veri ORBS: ce ne sono a decine.

(http:webalice.it/cipidoc/foto2.htm)

Ricapitoliamo le coincidenze che mi hanno accompagnato per sei giorni nel viaggio Roma-Fatima-Roma.

1 - Il pellegrinaggio a Fatima disponibile solo dal primo al tre aprile.
2- Il cane zoppo della cappellina di Fatima.
3 - Il vestito nuovo per andare in televisione (per la seconda volta).
4 - L’articolo su Emilio esce in Romania il 5 aprile (in attesa di pubblicazione da due anni).
5 - La giornalista che lo ha scritto mi accompagna a San Pietro.
6 - La sua amica che ci fa passare lavora nello stesso palazzo della Logart Press.
7 - Un sacerdote fa una fotografia che presenta delle macchie particolari.
8 - Su internet c’è una fotografia con macchie molto simili.
e ... le letterine di Emilio, prima durante e dopo.

Coincidenze? A vederle numerate, l'una dopo l'altra in sequenza, sembra veramente impossibile.
Non è mia intenzione soffermarmi a sostenere altre ipotesi, ciò che importa è prendere in esame il filo conduttore di quel pensiero chiaro e netto che mi ha scaldato il cuore e illuminato la mente. Perché ogni piccolo avvenimento ha contribuito a confermare che "la fede è la lente di cui l'occhio miope dell'uomo ha bisogno se vuole prolungare lo sguardo oltre i confini del finito. Credere ciò che si vede diventa vedere ciò che si crede. ...Si tratta di una fede particolare, fatta di dedizione e di coraggio, di saggezza e di semplicità, di forza e di mitezza, di consapevolezza e di stupore, di amore universale e di rinuncia all'io. Tutti ingredienti che miracolosamente mescolati rendono concepibile qualsiasi evento miracoloso". (Diario di un angelo - 8.10.1996 pag. 31)

Questi occhiali mi hanno mostrato a Fatima il concreto legame tra la vita terrena e la vita eterna, mi hanno preparato a vedere la concreta realtà dell'amore che le rende inseparabili. Dio onnipotente guida e dolcemente sostiene i suoi piccoli, padroneggiando il tempo e scavalcando lo spazio perché possano vedere quanto li ama. Papa Giovanni Paolo II disse a noi donne: "Siate sentinelle dell'invisibile". Si riferiva, io credo, all'amore, al nostro amore di donne e di madri, all'Amore divino fatto uomo e Figlio della Madre Immacolata: "Non abbiate paura, aprite la porta a Cristo".
La sentinella deve vigilare di fronte alla porta, e aprirla soltanto a chi mostra un segno di riconoscimento chiaro e inequivocabile, ammettendo anche il più umile lasciapassare senza pavide severità o reticenze, ma senza lasciarsi ingannare dai falsi. Nel dubbio non deve affidarsi all'istinto, ma alle regole di comportamento imparate nell'apprendistato.
Così anche io sento il bisogno di dire in che modo ho vissuto le emozioni di questi giorni e per quale motivo le racconto.

La morte di mio figlio non ha spento la mia ragione, ha semplicemente vivificato la mia fede in Dio e mi ha fatto capire, sentire, vedere la concreta realtà del Suo Amore.
La passione del cammino verso la soglia della speranza è insopportabile senza l'aiuto di Dio, è inaccettabile senza il Suo esempio, è inspiegabile senza la Sua Parola. Se l'antica tentazione di farne a meno è sempre in agguato, tra le maglie dell'esperienza empirica e della soggezione intellettuale, la fede illumina i misteri della materia senza oscurare la mente, e accende la fantasia insegnando il modo di non tradire la verità. Per aver fede, e aprire la mente e il cuore all'Amore di Dio, bisogna imparare a liberare il pensiero dai pregiudizi e il sentimento dalle illusioni.
Sono passati quasi dieci anni dalla morte di mio figlio, un attimo per lui e ormai anche per me. Ma c'è voluta un'eternità per convincermi che ha soltanto "cambiato vita" e non mi ha lasciata.
Oggi non ho timore di raccontare un nuovo episodio della nostra vita insieme, che mi è sembrato troppo grande e bello da tenere tutto per me. Lentamente, ho imparato a comportarmi come una sentinella dI guardia al portone delle emozioni e dei sentimenti, e continuo a tenere gli occhi sgranati, per non sbarrare il passo al più piccolo segno dell'amore vivo che mi unisce a mio figlio, ma solo dopo averne verificato il valore e ciò che significa per me.

Il cane zoppo di Fatima è la ninna nanna di quando tenevo Emilio in braccio e insieme scoprivamo il vero amore fedele.
Il vestito nuovo
è la fiducia di mia madre, che me lo regalava per andare a fare un esame, e non dopo averlo superato. Come anche io facevo con mio figlio.
L'incontro con la giornalista e la sua amica
è l'intraprendenza di Emilio, che quando si tratta di aiutare qualcuno ha un vero talento per mettere insieme le persone più disparate.
Il sacerdote "fotografo"
è la benedizione del Signore al mio sorriso di gratitudine.

Che altro?
Le "bolle"sulle fotografie.
Non so cosa sono, ma so che ci sono e penso che non sia corretto ignorarle. Dunque mostro insieme alla nostra la fotografia trovata su internet, che è corredata da riferimenti agli studi fatti in merito, anche seri e qualificati. Questi hanno accertato che le immagini chiamate Orbs non sono ripetibili di proposito e non sono dovute a riflessi di luce o a un qualsiasi difetto o artificio tecnico, ma non hanno trovato alcuna spiegazione scientifica attendibile. Di conseguenza resta ampio spazio per diverse ipotesi, purtroppo collocate per lo più in un ambito paranormale che non condivido affatto.

Per concludere questa nostra bella storia che non finirà, dico ancora una volta Grazie a Dio.

E passo la penna a Emilio.

Sul tema l'esercito di Maria, cfr. 26 marzo 2000 - 14 maggio 2000 - 18 agosto 2000