Movimento della speranza

Il Cammino dell'uomo alla ricerca del senso della vita

XXIII convegno internazionale - Cattolica 17/20 settembre 2009

Testo grassetto

Interventi del papà e della mamma di Emilio

 

 

I NOSTRI, I VOSTRI PERCHE’. LA RISPOSTA DI EMILIO

 

relazione del papà di Emilio

In grammatica, l’avverbio perché serve a chiedere in forma diretta o indiretta la causa, il motivo per cui si verifica o non si verifica un fatto, un evento; oppure lo scopo, la finalità per cui si fa o non si fa una data cosa. Come sostantivo, in senso più profondo e filosofico, mi piace definire il perché come il sale della vita. Mi spiego: non appena il bambino comincia ad elaborare i pensieri ed è in grado di formularli attraverso la cifra verbale, i suoi perché diventano inarrestabili, incalzanti, imbarazzanti, intriganti, assillanti, talvolta insopportabili. Ma già da prima, con il linguaggio dello sguardo egli è in grado di manifestare stupore, incredulità, meraviglia per i perché che gli affollano la mente. Esprimono la sua sete di conoscere, sono frutto di quella che Dante, per bocca di Ulisse, definisce come la vocazione della “semenza”, cioè del genere umano:

Considerate la vostra semenza. Fatti non foste per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.

Non so se il sommo poeta considerasse bruti coloro che nascono nel peccato, per colpa di quei progenitori dell’umana ‘semenza’ che imprudentemente vollero la risposta ad un perché di  troppo. E’ da allora che sono cominciati tutti i nostri guai!

 

Narra la Genesi ( 2,16-17) che  il Signore diede questo comando all’uomo: “ Di tutti gli alberi del giardino tu puoi mangiare; ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiarne, perché, nel giorno in cui tu te ne cibassi, dovrai certamente morire ”. L’avventura dell’uomo era appena cominciata, e già si affacciava la minaccia della morte. Da allora, l’uomo non sa e non può rinunciare a domandarsi perché.
Lo fece anche Gesù nei suoi ultimi attimi d’umanità, poco prima di esalare lo spirito: “Elì, Elì, lemà sabacthani?” . “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. (Matteo, 27, 49. Marco, 15, 39)

Lo feci anch’io il 22 settembre di 14 anni fa, quando persi mio figlio a seguito di un incidente stradale. Eravamo una bella famiglia, noi tre, solida e basata su sani valori civili e religiosi. Io, docente universitario e medico affermato, mia moglie Anna Rita, mamma a tempo pieno prestata al giornalismo culturale, nostro figlio Emilio, medico anche lui e chirurgo vascolare destinato ad una brillante carriera.

“Dio mio, Dio mio, perché hai preso mio figlio? perché non hai preso me? perché hai permesso che mi precedesse, stravolgendo la legge naturale, fisiologica,  che vuole i figli sopravvivere ai propri genitori? Quando verrò lassù, e sta pur certo che ci verrò, mi dovrai spiegare da Padre a padre perché me lo hai portato via. Mentre in preda alla disperazione sfidavo il Signore a confrontarsi con me, non ricevendo risposta cercavo di darmi risposte razionali, e tutte insoddisfacenti. Ai nostri giorni, pensavo, la strada uccide annualmente quattro volte di più dell’influenza – dico questo perché oggi le complicazioni dell’influenza sono diventate argomento di interesse mediatico. Emilio non si è potuto sottrarre alla spietata legge dei grandi numeri, al cinico calcolo statistico. Ma sapevo di mentire a me stesso, la disperazione non mi aveva annichilito. Anzi, in cerca di risposte dal Dio del silenzio, avevo tirato su le antenne, avevo allertato i sensi, e sono stato premiato  perché è stato il Signore, in prima persona, a darmi la risposta per mezzo della Sua Parola.

A Messa, seguendo la lettura del Vangelo ascolto queste parole: “Poi disse ad un altro. Seguimi! Ma costui rispose:

Signore, prima permettimi di andare a seppellire mio padre.
Gesù rispose: lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ a predicare il regno di Dio”.

Un versetto del Vangelo di Luca (9, 59) descrive l’incontro di Gesù con tre uomini, mentre con piglio risoluto percorre la strada verso Gerusalemme, verso l’ultimo destino. E’ un brano che solitamente la liturgia inserisce nelle letture per commentare la vocazione. Lo interpretai invece come se il Signore avesse deciso di rompere il silenzio e mi stesse dicendo: “Guarda che Emilio, il nostro Emilio, è quassù per annunciare il mio regno”.

Emilio già scriveva, inviava letterine, ci stava coinvolgendo nella sua esperienza ‘di lassù’, già si preparava a consegnarci il suo angelico Diario, ed io ancora chiedevo perché, perché.
Nostro figlio era diventato un fiume in piena. Io, il suo vecchio scriba fedele, facevo fatica a stargli appresso, mentre mamma banana riempiva faldoni su faldoni di lettere stupende, piene d’amore e di insegnamenti.  Ero entusiasta e orgoglioso di questa collaborazione così gratificante, così intima, così sublime. Al tempo stesso mi sentivo immeritevole del compito assegnatomi e temevo che da un momento all’altro la nostra meravigliosa empatia potesse incrinarsi per la mia inadeguatezza. Sempre più spesso la mia mente era attraversata dalla domanda: perché  ci viene concesso questo dono, perché ne saremmo meritevoli? Emilio mi tenne sulla corda sino al 3 aprile del 2000, quando trascrissi una sua lettera nella quale aveva da dirci cose importanti. Ci racomandava:

“Prima di tutto siate generosi con il vostro prossimo, come il Signore lo è con voi. In secondo luogo, siate prudenti ed abbiate l’umiltà di farvi sempre guidare e consigliare da Lui. Poi, siate e mostratevi comprensivi verso coloro che vi invidiano questo dono senza avere rispetto del dolore che ve ne ha reso meritevoli. E ancora, siate voi stessi guida e consiglieri di chi vi confessa le proprie debolezze e le proprie paure. Ma soprattutto siate umili e semplici come si conviene ai fedeli servitori di Dio, senza fare mai pesare l’orgoglio di questo privilegio e la superbia di questo compito... Siate testimoni dell’Amore che Dio dispensa senza seguire regole e protocolli prevedibili, perché Lui solo è la Regola e Lui solo è prevedibile come fonte inesauribile d’Amore”.

In 14 anni d’onorato lavoro di scriba sono stato a mia volta fatto oggetto di molti perché. Allo stanziale psichiatra televisivo - noto non solo per i titoli professionali, ma anche per i cachemire variopinti -  che con bonario tono di rimprovero mi chiedeva perché non avessimo mantenuto “intima” la nostra esperienza, resa di dominio pubblico a mezzo stampa e televisione facendo “proselitismo”, risposi che, se si fosse preso la briga di leggere le lettere di Emilio raccolte nel libro “Diario di un angelo”, avrebbe trovato la risposta a tutti i suoi perché.

Non so se abbia mai seguito il mio consiglio. Comunque, il 6 marzo 1999 Emilio scriveva alla mamma per mio tramite:

“ Ora sgombra la mente da timori, dubbi, incertezze, e lascia che le tue esperienze vengano conosciute dagli altri e divengano spunto di conoscenza e meditazione, di speranza e di amore. I tempi sono maturi e non c’è nessun motivo di ripensamenti. C’è poco da ripensare su quanto ti è stato e ti viene ispirato, ed è ora che tutto ciò diventi materia di coinvolgente altrui ripensamento ”.

 

E ancora, da una lettera del 2 aprile 1999:

“...Orsù dunque. Rimettiamoci al lavoro, senza dimenticare che esso non si compie a vostro esclusivo uso e consumo, ma è dedicato a tutti coloro che chiedono un segno concreto della pietà e della misericordia di Dio ed un sostegno consistente alla propria fede. Tutto è già stato detto e scritto in proposito, ma è bene rinverdire i concetti e rinfrescare le memorie, ricorrendo ai moderni mezzi d’informazione ed utilizzando al meglio le arti mediatiche. Non crediate che noi non ne siamo all’altezza e che siamo rimasti ai tempi della comunicazione lapidaria. Conosciamo tutti i trucchi del mestiere, e quando c’è da fare arrivare il messaggio non ci ferma proprio nessuno... La macchina si è messa in moto e d’ora in poi marcerà spedita... A quanti dovessero contestare o irridere i vostri canali d’informazione e d’ispirazione, ricordate semplicemente  che le vie del bene sono infinite e che anche  una penna biro può scrivere parole sante nella stessa maniera che fosse impugnata dal Padreterno in persona, se Lui lo vuole...”

Infine:

“ ...Maria misericordiosa è ispiratrice e vessillo della riconversione, e noi angeli e voi, creature di Dio, siamo i suoi soldati e i suoi portalettere al tempo stesso. Per portare a destinazione i suoi messaggi dobbiamo sfruttare non solo la forza dell’amore, ma tutti i mezzi d’informazione e gli strumenti di diffusione di cui si serve il male per diffondersi tra gli uomini, per batterlo con i suoi stessi metodi”

 

Mia moglie ed io veniamo spesso invitati ad incontri con genitori e con giovani per raccontare loro la nostra esperienza, e capita di doverci confrontare con il dolore di chi, come noi, ha perso un figlio o una persona cara. In una di queste riunioni presso l’oratorio di San Giacomo in Imola, una madre disperata per la morte del figlio mi chiese: “Perché a voi è stato dato il dono di comunicare con vostro figlio in cielo e a me no?”. La domanda mi prese alla sprovvista e cercavo invano una risposta sincera. Don Beppe, il parroco che aveva organizzato l’incontro, resosi conto del mio imbarazzo, rispose prontamente per me: “Perché sono stati prescelti!” Come per significare che Dio solo lo sa.E’ per questo motivo che ho preso l’abitudine di offrire i miei perché a Dio. Emilio mi ha insegnato a farlo.

“ Ad ogni perché che l’uomo pone e rivolge a Dio, c’è l’unica risposta: sia fatta la Sua volontà: volontà non già di produrre male fisico, malattie e sofferenze, ma volontà di dividere con le proprie creature la gioia della vita eterna e della guarigione per sempre. Che si raggiunge con la medicina della fede, farmaco che viene distribuito gratuitamente nelle farmacie e che, vi assicuro, è un prodotto miracoloso.
Fatene una buona scorta, perché non ha scadenza ”.
(12 agosto 1998).

“ Se vi chiedete il perché di tutte le cose e vi date anche le risposte, non accrescerete mai la vostra conoscenza. Se invece chiederete perché a chi è in grado di fornirvi risposte chiare e sostanziali, allora s’ arricchirà la vostra esperienza. Quando chiedete al Signore perché vi fa soffrire, non vi ponete nei Suoi confronti con animo semplice e puro di fanciulli. Infatti già Gli addebitate la causa della vostra sofferenza. Ma se Gli chiedete perché soffrite, allora Egli vi ha già esaurientemente risposto, mandando sulla croce il proprio figlio. ...Un solo perché si dovrebbe concedere l’uomo di fronte a Dio: Dio mio, cosa ho fatto e faccio perché Tu sia così buono con me e per meritare il Tuo amore e la Tua eterna ospitalità? A questa domanda la risposta è una sola: perché Io sono il Padre tuo e tu sei Mio figlio.
Pochi hanno maturato questa risposta nel dolore, e tutti costoro sono già in corsa verso di Lui o Lo hanno già raggiunto. Miei cari, iscrivetevi anche voi a questa competizione che, proprio perché tale, costa in allenamenti, rinunce e dolore, ma chi vince questa gara si assicura la vita per sempre, perché voi non dovreste?”. Emilio
(17 agosto 1998).

Mario Crispo   

 

 

Diario di un angelo in TV
relazione della mamma di Emilio

 

Ripetutamente siamo stati chiamati in TV per parlare di Emilio e dei suoi libri. In qualche occasione abbiamo rifiutato, poco convinti del contesto nel quale saremmo stati collocati, ma molte altre volte abbiamo accettato l’invito, considerando giusto, come già accaduto per la pubblicazione dei libri, condividere il nostro tesoro con “tutti coloro che hanno bisogno di un minimo di conforto per continuare a credere, e tutti quegli increduli che hanno bisogno di un pur minimo dubbio per cominciare a scuotersi dalla propria indifferenza e scetticismo”.

 

Per ricreare il nostro stato d’animo in questi appuntamenti con le telecamere, vi racconterò come avvenne la prima volta.

Nel luglio del ’99, Diario di un angelo era appena arrivato in libreria, non sapevamo cosa ne sarebbe stato e neppure ce lo chiedevamo, ci bastava averlo pubblicato. Chiedendo aiuto alla natura per smaltire l’emozione dell’uscita del libro e mettere alla prova la nostra ritrovata serenità, dopo quattro anni tornavamo a fare una vacanza al mare. Il ventisei luglio, proprio il giorno del mio onomastico, Sant’Anna, il Messaggero pubblicò un bell’articolo di Marida Lombardi Pijola: Che bel diario, l’ha scritto un angelo. Lo presi come un regalo personale, ma Lolita Guakil, il nostro editore, se ne rallegrò nell’ottica della promozione.

A questo aspetto non avevamo ancora pensato, ma l’indomani Emilio scrive: Man mano che leggeranno, il lievito dell’amore farà crescere il pane della fede che nutre l’anima. Lo spirito farà il resto nell’ambiente che gli è più congeniale, l’etere, nel quale ognuno vedrà la vostra credibilità. Lì vi sarò anch’io a dargli una mano. Tutto procede come da programma ed è inarrestabile. Vedrete e non finirete di stupirvi. Ciao ciao, il vostro Emilio.

 

Papà ha appena scritto queste parole, quando Lolita mi fa sapere che un giornalista della Rai ha chiesto il nostro numero di telefono. Subito dopo ricevo la sua chiamata.

E’ sensibilmente emozionato, ha visto l’articolo del Messaggero, si è procurato il libro di Emilio e lo ha letto. Insiste perché accettiamo di partecipare alla trasmissione UNO MATTINA. Si chiama ... Spirito. Ho sotto gli occhi la letterina appena arrivata:
“Lo Spirito ... nell’ambiente che gli è congeniale .... nell’etere ognuno vedrà”.

Non ci posso credere, ho sentito bene? Sto usando il telefonino di Emilio, che oramai è un po’ vecchio. Me lo faccio ripetere. Il giornalista scandisce ad alta voce: sono Paolo SPIRITO.

Inutile dire che tornammo a Roma per partecipare al debutto televisivo del Diario di un angelo.

Eravamo un po’ tesi, soprattutto io. Emilio ci incoraggiava:

Troverete me alla regia, sarà un gioco da ragazzi, perché deve essere un gioco e non una lugubre commemorazione. Tranquilli, lasciatevi guidare da tutti noi che siamo specializzati in grandi eventi e amorevoli invenzioni, parlate bene di noi e fateci fare bella figura. Ci contiamo.

Il trenta luglio a Saxa Rubra conoscemmo di persona Paolo Spirito, che ci accompagnò nello studio dove ci aspettava Paola Saluzzi. Era appena arrivata e stava dicendo alla truccatrice: “Non c’è tempo, pazienza. Ho fatto tardi, questa notte l’ho passata a leggere. Non riuscivo a smettere”. Veramente era così carina che poteva fare a meno del maquillage, ma con noi fu più che carina, perché leggendo aveva potuto conoscerci e si rivolgeva a noi con naturalezza, gentile e rispettosa della nostra sensibilità, senza timore di mostrarsi fiduciosa della nostra esperienza e della nostra sincerità nel raccontarla. Le sue domande erano appropriate, i suoi commenti intelligenti interpretavano correttamente il rapporto con gli spettatori, e noi ci sentivamo a nostro agio cercando di esporre l’essenziale della nostra storia. Ci fece particolarmente piacere che insieme a noi, per un pensiero conclusivo, fosse stato invitato un sacerdote. Don Bruno Fasani non restò sulle generali, ma si espresse con cognizione di causa, dimostrando di aver letto il libro di Emilio e di averne apprezzato alcuni brani. Infatti citò la lettera sugli “occhiali della fede” e commentò quella in cui Emilio distingue: La conoscenza è un bene inestimabile, specie se conduce a Dio; ma la sapienza è privilegio che nasce dall’umiltà di lasciarsi guidare da Dio nella conoscenza delle cose, e nel riuscire a riconoscervi il Suo segno, il Suo progetto, per testimoniarlo e farne partecipi gli altri in tutta la sua grandezza”.

 

Come sempre accade, al termine di questo breve passaggio televisivo non ricordavamo più cosa avevamo detto, e non sapevamo come fosse andata. Fortunatamente un’amica aveva registrato la trasmissione ed abbiamo potuto farcene un’idea, esercitando un po’ di sana autocritica. Ma quello che più mi colpì fu scoprire che tutto il tempo Emilio era stato con noi, sorridendo sul vidiwall dall’alto, proprio lì dove di solito c’è la postazione del regista.

 

Un altro regista fu decisivo a salvare la seconda apparizione del Diario in TV, un breve intervento di Papi scriba nella trasmissione di Alain Elkann Due minuti un libro, che per fortuna non andava in diretta.

Il laconico conduttore scrutava perplesso il retro del volume con la fotografia dell’autore, che non assomigliava un gran che alla persona che aveva davanti. Aveva appena annunciato “ Adesso occupiamoci di Diario di un angelo di Emilio Crispo, che è qui con noi. Signor Crispo, vuole spiegarci precisamente il significato del suo libro, quando lo ha scritto era più giovane, non è vero?”

“L’autore del libro è mio figlio Emilio. Evidentemente lei non lo ha letto, altrimenti saprebbe che non può essere qui perché è morto quattro anni fa in un incidente d’auto. Questo suo libro contiene le lettere che ci scrive dal cielo ...”

“STOP – FERMI –il regista intervenne a precipizio– Siete matti? !?! Qui finiamo su Striscia”!

Ricominciarono tutto da capo, Elkann passò la parola a mio maritò che improvvisò una tirata di due minuti, senza domande, senza interruzioni, tutto da solo. Se la cavò abbastanza bene, ma certo non possiamo dire che fu una bella esperienza. Lo racconto non solo perché è divertente, ma soprattutto per rappresentare l’opposto della cura e della preparazione che ci avevano accolto in precedenza.

 

Tra questi due episodi agli antipodi si trovano tante altre trasmissioni alle quali abbiamo partecipato, perché, nonostante tutto, non ci è sembrato giusto desistere. Il motivo sta nei buoni frutti della divulgazione dei libri di Emilio. Ce lo testimoniano migliaia di telefonate, lettere ed e-mail inviate al sito internet che pubblica l’aggiornamento dei suoi scritti. Tutto questo ha rafforzato l’intenzione di collaborare con nostro figlio per far giungere le sue parole a chi ne ha bisogno. A queste condizioni il disagio delle apparizioni in TV si può superare.

 

Però recentemente ho cominciato a riflettere. Per questo stiamo parlando di televisione.

Nella prefazione di Cielo che poesia, io stessa ho scritto: “La gioia, la serenità, la speranza di un domani migliore ci vengono incontro in un libro scritto dal cielo. Ma questo è il punto: per afferrarle bisogna credere che davvero lo abbia scritto un angelo”. La frase suona come un’affermazione, ma non significa, come è chiaro nel contesto, che mi sia mai passato per la testa di voler convincere qualcuno.

Vorrei saper fare mie le parole di Santa Bernadette, quando disse al suo parroco: “Ho ricevuto l’incarico di dirvelo, non di convincervi”. Non è la stessa cosa, lo so bene, per noi non si tratta di un incarico, ma solo del desiderio di collaborare con Emilio a fare un po’ di bene con le sue “letterine”. Però in televisione c’è il rischio di venire fraintesi. Ma perché? La nostra storia è molto concreta, il nostro comportamento è corretto: di che cosa mi preoccupo? Non ci interessa gran che l’eventuale deformazione della nostra immagine, invece Emilio ci sta a cuore moltissimo. Perciò ci preme che non venga deformato il senso e il valore della nostra testimonianza.

Per analizzare quanto accaduto finora, ho messo a confronto i due modi diversi che hanno reso la nostra esperienza di dominio pubblico. La divulgazione dei libri ha prodotto lettura, cioè contatto in presa diretta con il linguaggio che comunica contenuti e introduce la conoscenza di persone e fatti. Così i lettori hanno imparato a conoscere Emilio e ad amare i suoi libri, che pure non sono libri “da divorare con una lettura tutta d’un fiato, ma un luogo in cui meditare, in cui cercarsi dentro, in cui aprire il cuore per lasciarselo esplorare, percorrere e ricolmare d’amore”.

In televisione siamo stati invitati per lui, per i suoi libri, e per questo motivo ci siamo andati. Ci veniva offerta l’occasione di utilizzare un potente strumento di divulgazione, e non ho nessuna difficoltà ad ammettere che intendevamo usarlo. Eccoci al dunque: che lo strumento fosse efficace si è visto subito, per capire che bisognava stare in guardia c’è voluto del tempo.

Considerando quanto accaduto finora, ho individuato almeno tre fattori di rischio: superficialità, protagonismo e pregiudizio.

 

Primo fattore di rischio: la superficialità

Bisogna pensare a una trasmissione a tema, con un conduttore, alcuni ospiti e i cosiddetti “esperti” chiamati ad animare la conversazione. Individuato l’argomento della puntata, gli autori e la redazione cercano gli ospiti adatti e forniscono al conduttore la documentazione necessaria a padroneggiare il dibattito. A questo punto tutto dipende dalla loro e dalla sua professionalità, ma in ogni caso è determinante la buona conoscenza delle persone e dei fatti. Quando questa condizione si è verificata, la superficialità non ha procurato danni, ma il rischio si è manifestato puntualmente. Sembra proprio che di qualche presuntuoso che parla a vanvera non si possa a fare a meno.

Farò un esempio: Due volte siamo stati ospiti di Bruno Vespa, nel suo Porta a porta. Nel primo caso è stata una serata stimolante, in cui il vivace contraddittorio con i vari Crepet, Sgarbi, Zecchi,Vacca e ancora don Bruno Fasani, non è mai (ossia quasi mai, ma accontentiamoci) venuto meno all’intento di prendere in esame la nostra esperienza in relazione al tema della serata, intitolata: “Anima mia”. E’ vero, qualcuno è rimasto arenato sul fenomeno paranormale, ma tutti gli altri avevano capito che si stava parlando di tutt’altro e intervenivano, in riferimento ad alcuni brani dei libri proposti dalla regia o scelti all’impronta, spaziando con acutezza tra arte e spiritualità, sentimento e ragione, scienza e fede, mente e cuore. Così, l’ampio spazio di tempo offerto da Porta a porta esaudiva la propria vocazione all’approfondimento e prendeva le distanze dalla superficialità. E noi, nonostante un paio di provocazioni gratuite, ci sentivamo appagati dall’interesse suscitato dai libri di nostro figlio.

Emilio ogni tanto compariva dall’alto a sorriderci in fotografia, vero protagonista della serata. Ormai tutti i presenti avevano imparato a conoscerlo e gli si erano affezionati. Infatti, dopo le prime battute, “il figlio del prof. Crispo”, per tutti era diventato “Emilio”.

 

Secondo fattore di rischio: il protagonismo

A questo punto veniamo al secondo fattore di rischio: il protagonismo. Normalmente più ne soffre chi del protagonista non ha la stoffa, ma spera di diventarlo con il supporto della notorietà. Ardua impresa, se si tratta di affrontare il complesso problema dello spirito. “Che solo apparentemente rappresenta un problema – scrive Emilio- in quanto trattasi di materia immateriale”. Effettivamente non c’è arma più efficace di una risata per smontare qualsiasi piedistallo di cartapesta. Lo spunto come sempre viene da Emilio, ma come si fa ad approfittarne senza un interlocutore disposto a leggerlo?

La prima edizione del libro di Emilio è andata esaurita in venti giorni, nei primi sei mesi sono state vendute quindicimila copie. Dal ’99 ad oggi non so più quante nuove edizioni sono state stampate l’una dopo l’altra.

(Penso di dover dire, a questo punto, che ogni guadagno è devoluto da noi e dall’editore a un’istituzione ONLUS, che si occupa del recupero di giovani bisognosi di aiuto).

Quest’anno ricorre il decennale della pubblicazione del Diario, mentre sono già passati sei anni anche per Cielo che poesia- Secondo Diario di un angelo, che è stato accolto con altrettanto calore. Ma in televisione non si è mai parlato di “caso editoriale”, né si è mai abbozzata una recensione che prendesse in esame i contenuti, la forma letteraria, la trama narrativa, l’argomento teologico.

In compenso non è mancato qualche portatore-malato di pregiudizio smanioso di mettersi in mostra, bene informato sul fenomeno della penna semovente e altrettanto disinformato su quello che scrive.

 

In effetti, chiunque può esibirsi in una tiratina sulla scrittura automatica: scienza di qua e psicologia di là, e via così a sproloquiare sotto i riflettori senza dire nulla. Ben altra stoffa si deve possedere per affrontare l’argomento dei contenuti, ben altro impegno è necessario spendere.

Forse, me ne rendo conto, la televisione non è la sede più adatta per affrontarlo, perciò ancora di più ho apprezzato Cominciamo bene di Rai3, che mi ha ospitato tre volte, dove sempre è stata letta una lettera di Emilio. Ricordo che al primo appuntamento mi chiesero se Emilio avesse scritto qualcosa sulla reincarnazione. Trovai la lettera e glielo comunicai (Cielo, pag. 188,189), era datata 31 luglio, lo stesso giorno in cui andavamo in onda. Corrado Tedeschi la recitò magnificamente, mentre non si era ancora rimesso dallo stupore.

Nella stessa trasmissione, un paio d’anni dopo, Michele Mirabella aprì il libro a caso e venne fuori un importante scritto sul tempo (Diario pag. 130). Ne fui sorpresa perché era proprio la lettera che avevo pensato di segnalare, ma soprattutto mi fece piacere ascoltare i suoi commenti.

Poi ancora Corrado Tedeschi, con la sua bella voce regalata ad Emilio (Diario, pag. 339). Questa volta era in un’occasione per la quale non trovo un aggettivo, eravamo nei giorni dei funerali di Giovanni Paolo II. Questa puntata di Cominciamo bene è sicuramente un esempio eccellente della migliore televisione, dovuto agli ottimi autori, a tutti i redattori e ai bravissimi e sensibili conduttori Corrado Tedeschi ed Elsa di Gati.

C’era tanta commossa partecipazione nell’aria, in quel momento solenne ci sentivamo tutti inadeguati ad esprimere i nostri sentimenti. Eppure ci fu un tale, di cui volutamente non faccio il nome, che colse l’occasione per esibirsi in commenti provocatori e dissacranti. E’ una persona tra le cui molte competenze non compare il calcolo del cattivo gusto. E invece bisogna calcolarlo, perché ha il potere di polverizzare la cartapesta.

 

Terzo fattore di rischio: il pregiudizio

Mi sono dilungata anche troppo e concluderò rapidamente sul terzo fattore di rischio. A smascherare il pregiudizio basta l’evidenza, non c’è bisogno di tante parole.

Perciò mi limiterò a riferire quanto ha detto Padre Raniero Cantalamessa, durante la nostra seconda apparizione a Porta a porta.

“ Esiste il paranormale, però esiste anche il soprannaturale. Come credenti siamo convinti che i morti vivono. Così, che il figlio del professore sia vivo per i credenti è vero. Per un uomo di fede, il problema della comunicazione tra le anime trapassate e coloro che sono rimasti sulla terra non è un problema. La vita dei santi, lo studio della storia di duemila anni ci ha dimostrato che queste cose avvengono. San Francesco, che di certo non era un paranormale o un paranoico, ha avuto questi fenomeni ed è apparso dopo morto.

Il problema per noi credenti è che, se questi contatti tra aldiquà e aldilà avvengono, non possono avvenire per fenomeni paranormali o psicologici. Devono avvenire solo in Dio, cioè la comunicazione non può essere mai diretta: queste anime si ritrovano in Dio. Perciò, o questo figlio ha il permesso di Dio di mandare dei messaggi, per scopi che solo Dio sa – e questo lo dimostra solo il tempo nei frutti prodotti, la Chiesa è la prima a dirlo - oppure si ricade nei fenomeni che si possono spiegare naturalmente.

Però vorrei ricordare ciò che diceva, credo, Newton: ‘Ci sono più cose al mondo di quante i filosofi abbiano pensato. Oggi diremmo scienziati e psicologi.

 

Padre Cantalamessa risponde così a uno psicologo che, per negare l’evidente lucidità della testimonianza di mio marito, si è rivolto a lui chiamandolo “il paziente”. Ancora più ridicola la sua performance, se si pensa che il blocco della trasmissione dedicato a noi era stato introdotto da un inserto filmato con la lettura di una splendida lettera di Emilio. (Cielo che poesia, pag. 318). Se possibile, vorrei farvelo vedere. Mi sembra la migliore conclusione del nostro incontro.

 

 

Sito realizzato a cura dei genitori di Emilio mail